martedì 18 maggio 2010

La morte generatrice - di Alessio Bonetti

L’origine dell’Arte

Da dove viene l’Arte? Da dove viene la bellezza?
A queste domande è forse impossibile dare una risposta univoca, poiché Arte e Bellezza non sono concetti assoluti, ma oscillano nel vasto campo della soggettività umana. Anche se ci sono stati periodi storici in cui si parlava di “canoni” del Bello, o addirittura di “Bello assoluto”, c’è da dire che essi erano influenzati da credenze o semplicemente da mode del momento. Mode e credenze che nel corso dei secoli sono cambiate più e più volte.
L’unica risposta è quindi dire: da dentro di noi. Siamo noi a percepire il Bello o l’Artistico, anche se influenzati dall’esterno; siamo sempre noi a fare di una qualsiasi opera un’opera “d’arte”, noi che la viviamo e la ammiriamo, la respiriamo, la sentiamo. L’autore esprime se stesso, il pubblico lo rende artista.
Ed in effetti le opere più belle sembrano essere quelle in cui dell’artista si vede di più, quelle in cui egli ha messo tutto se stesso, o semplicemente quelle in cui è riuscito a esprimere meglio il suo Sé. E avere delle tracce profonde dentro di sé è prerogativa essenziale per poterle ricreare in qualcun altro esterno a noi.
Se non conosco il significato di “traccia profonda” non posso esprimerlo in ciò che faccio, e la mia opera non lascerà mai un segno profondo, non arriverà mai a penetrare l’anima di chi partecipa all’opera. Ma se abbiamo in noi una o più tracce, solchi, ferite, allora sì; possiamo trasmetterle all’inorganico per renderlo vivo, trasformando così la roccia in donna, o un colore in un corpo umano…
Senza conflitto non possiamo definirci “artisti”. L’artista vive del conflitto, è il cibo di cui si nutre e la bevanda con cui si disseta; la sua Arte è il modo in cui egli supera quel conflitto, scarica la sua tensione. Più grande sarà il conflitto più grande – potenzialmente – sarà l’artista. Insieme al genio, il conflitto è ciò che rende sublime il quotidiano, ed il superamento geniale del conflitto estremo è Arte pura.
Ed ecco come la Morte si lega indissolubilmente all’Amore e all’Arte: la profondità deriva dalla ferita, la ferita dal dolore, il dolore dal conflitto, il conflitto dalla separazione; la separazione dalla Morte. Ma ovviamente se non c’è Amore non può esserci nemmeno dolore. Lo sperimentare la morte [vedi art. “Il lato oscuro dell’Amore”, Fertililinfe n°-3] apre le porte della creatività, ed il modo di varcarle di ognuno rende più o meno artistico il risultato.
Cosa sarebbe un Van Gogh senza i suoi drammi interiori? Cosa resterebbe di Munch se lui non avesse sentito urlare la natura dentro di sé?
Le ferite dell’anima sono quelle grazie alle quali noi possiamo osservare meglio dentro di noi, arrivare fino al profondo del nostro cuore e della nostra mente, toccare le nostre paure e affrontare i nostri demoni. Ma la Morte sarà causa e conseguenza di quel conflitto: Tanathos genera dolore, il dolore è tensione, e la tensione viene scaricata, arrivando al piacere del vuoto. Il vuoto è la non-esistenza, la Morte. Da Morte nasce Vita, che culmina nella Morte [vedi “La Morte Generatrice” 1 e 2, n°-1 e -2]. E senza la separazione, il dolore e la Morte non esisterebbe neanche la condivisione, il piacere e la Vita. E non esisterebbe così nemmeno l’Arte.

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